La Chiesa al servizio degli ammalati

2024-05-22
La Chiesa al servizio degli ammalati

Si è svolto a Verona il 25º Convegno nazionale della Pastorale della salute. Di salute e della vicinanza della Chiesa al malato hanno parlato Grazia Serra e Giacomo Cesare Avanzi nella trasmissione “Di Buon Mattino” del canale TV2000 con padre Virginio Bebber, presidente di ARIS (Associazione Religiosa Istituti Socio-sanitari) e amministratore delegato Fondazione Opera San Camillo.

 

Che cos'è ARIS e di che cosa si occupa?

ARIS è l'associazione che ha unito tutte le strutture di ispirazione cristiana e soprattutto è il frutto di un carisma, perché la nostra è una sanità carismatica, che deriva proprio dai nostri fondatori e dalle nostre fondatrici, quindi dal loro carisma nasce il servizio, il mettersi vicino all'uomo malato per dare una risposta alle sue sofferenze. E da questo è nato anche l'impegno in strutture sempre più complesse. 

 

Quasi un anno fa siete stati accolti anche in udienza privata da Papa Francesco, insieme anche a dei malati, come è stato questo momento?

È stato un incontro molto bello, io ho definito il Santo Padre come un papà che accoglieva i suoi figli, figli che sono a servizio della persona malata ma anche figli malati.

Eravamo in 250 e il Papa alla fine ha voluto salutare uno a uno tutti i partecipanti, in particolare gli ammalati, perché lui vuole bene agli ammalati e quindi vuole incontrarli.

 

San Camillo de Lellis, Santa Giuseppina Vannini e San Giuseppe Moscati sono tutte figure di persone che hanno manifestato nella loro vita, e attraverso la santità che hanno vissuto ognuno nel loro modo, la vicinanza alle persone malate e continuano a essere in qualche modo un faro per noi.

Certo, io penso al fondatore del mio ordine, San Camillo, che ci ha lasciato un’espressione molto bella: “più cuore in quelle mani”. Lo diceva ai suoi religiosi che stavano curando gli ammalati nell'ospedale Santo Spirito ce lo ricordiamo ogni giorno noi come religiosi Camilliani ma lo ricorda ogni assistente sanitario, ogni persona che si accosta al letto di un ammalato. Più cuore, avere cuore. Non si va lì per mestiere, ma si va lì per spirito di servizio: la nostra sanità è al servizio dell'uomo malato.

 

Padre Bebber, quanto è importante la presenza della Chiesa proprio nel mondo della salute? 

È sempre stata importante. Del resto è stato il mandato di Gesù Cristo: “andate, predicate e curate”. Quindi da questo comando da parte di Gesù è partito anche l’impegno, già dall’inizio, della Chiesa: l'ammalato faceva parte dell'attenzione della Chiesa apostolica. Del resto vediamo come Gesù ha fatto tanti miracoli verso gli ammalati e quindi questa vocazione di servizio verso l'uomo malato è stato un qualcosa che è rimasto sempre come motivo di ministero all'interno della Chiesa.

 

Quali sono le criticità del mondo della salute di quest'oggi a cui dovete far fronte anche voi come ARIS? Cosa manca per poterle affrontare?

A Verona, in una sessione del convegno, si è parlato di carisma e di sostenibilità. Purtroppo noi viviamo un momento di riduzione delle vocazioni, ma quello che maggiormente ci crea problemi è il mettere assieme l'attività e la sostenibilità di un’opera, perché un'opera deve essere sostenibile, altrimenti diventa un peso che non è possibile portare avanti. Quando io ho troppe difficoltà economiche all'interno di una struttura non mi è possibile effettuare un servizio come dovrei.

 

A monte di questo c'è anche una questione che riguarda la considerazione stessa del malato: molto spesso le persone che hanno bisogno di essere curate vengono trattate come portatori di una malattia e non come una persone che hanno una malattia. Vengono a volte invertiti malattia e malato, e numeri con esseri umani. 

In questo momento, soprattutto negli ospedali, si cerca di fare il più veloce possibile nel dare risposte diagnostiche e anche interventi operatori, per poter poi spostare l'ammalato sul territorio e nella famiglia. Io dico che il più grande ospedale di oggi è il territorio e quindi anche su questo la Chiesa deve riflettere per vedere che risposte dà a questi malati che sono sul territorio. Questo vuol dire che dobbiamo dare risposte tecnologiche sempre più avanzate, perché altrimenti non si riesce a rispondere a questa necessità e quindi si fa fatica, molta fatica.

 

Un altro tema che sta particolarmente a cuore ad ARIS e ai camilliani è quello del fine vita. È quello di stare accanto a una persona appunto che sta morendo.

Certo, sta proprio toccando un argomento che mi sta molto a cuore. Perché io continuo sempre a dire anche ai miei associati, dove è possibile, di creare situazioni di hospice con attività di cure palliative, perché abbiamo bisogno di questo, dobbiamo dare risposte. Un malato che sta male ha bisogno di risposte. 

Nella struttura dove attualmente lavoro c'è un hospice, un un reparto di cure palliative, dove si cura sempre ma non si guarisce mai e questo è molto faticoso anche per il personale, per quello sto molto vicino a loro. Perché questo nostro personale ha bisogno di essere sostenuto: sono persone che vogliono molto bene ai malati, e i malati si sentono in famiglia.

Qualche tempo fa è uscito un articolo sull’Avvenire, che parlava di hospice-famiglia. Perché dobbiamo creare l'ambiente famiglia all'interno delle cure palliative.

 

Quali altri temi sono emersi nel 25º Convegno Nazionale della Pastorale della salute?

Soprattutto l'importanza da parte delle strutture e degli operatori di essere vicini: devono esserci delle persone che si interessano di loro, che si accorgono e vogliono dare una mano. Questa deve essere la cosa principale sia dal lato sanitario sia dal lato umano, perché anche dal lato umano queste persone hanno bisogno di essere sostenute e aiutate.

 

Purtroppo dobbiamo pensare alla situazione in cui tante famiglie vivono, famiglie che non hanno proprio la possibilità di accedere alle cure. C’è un incremento di queste famiglie? È cambiato qualcosa negli anni?

Ci sono, però se la persona non ha la possibilità di accedere alle cure, ci sono le strutture che accolgono: noi accogliamo sempre le persone che hanno bisogno. Anche se siamo all'interno di una realtà dove la Regione ci fa un contratto, noi andiamo ugualmente oltre, perché noi vogliamo fare servizio. Vogliamo essere vicini all'uomo malato.

In questo momento la povertà è aumentata molto. Quindi vediamo come il settore delle persone che non pagano il ticket aumenta sempre di più, perché c'è l'aumento della povertà.

 

Il momento della pandemia ha creato 'un prima e un dopo’.

Il momento della pandemia è stato terribile. Proprio perché Cremona, dove io lavoro, è stato quasi il ‘centro’. Pensate che all'interno della mia struttura sono mancati il direttore sanitario e due religiosi, ma abbiamo avuto anche tanti altri lutti all'interno della nostra struttura perché eravamo anche noi centro Covid. 

Momenti davvero terribili, che sono impresse nella mente di ognuno di noi. Grazie padre Virginio Bebber grazie per essere stato con noi e grazie per quello che fate.

 

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